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Cronaca

Due anni da incubo in una cella in Polonia, l’assurda vicenda di un imprenditore ternano

Arrestato nove anni a causa di un contenzioso su un titolo di Stato da un milione di dollari, dopo essere tornato a Terni finisce nuovamente in cella a seguito di una rogatoria internazionale. La battaglia legale per la verità

Se qualcuno ha in mente almeno un fotogramma del film Detenuto in attesa di giudizio, il film diretto da Nanni Loy e interpretato da Alberto Sordi, forse può riuscire ad avvicinarsi all’incubo vissuto da un imprenditore ternano oggi settantenne, cardiopatico e affetto da altre patologie, imprigionato per due anni in una cella in Polonia. “In condizioni disumane”, stabilirà poi la Corte di appello di Perugia, mentre il figlio, una volta rivisto, lo avrebbe descritto come “invecchiato di vent’anni”.

La storia assurda comincia nove anni fa. L’imprenditore si trova in Polonia per affari. Il suo lavoro lo porta a conoscere alcune persone che lo convincono a fare da tramite verso un’altra persona a cui deve consegnare un titolo di Stato americano dal valore di un milione di dollari.

Mentre si trova a colloquio con questa persona, scatta un blitz di polizia e servizi segreti polacchi che indagano sull’ipotesi di reato di commercio di titoli stranieri falsi. L’imprenditore finisce in manette e viene incarcerato. Non può chiamare un avvocato e le sue condizioni fisiche – per le quali sarebbero necessarie delle terapie accurate – peggiorano di giorno in giorno.

Resterà dietro le sbarre in Polonia per due anni, fino a quando un magistrato non gli sottopone un foglio da firmare. L’imprenditore si fa tradurre il documento e il senso, in estrema sintesi, è questo: tra le righe c’è scritta la condanna che dovrà scontare. Se firma e accetta quelle condizioni, sarà libero di lasciare la cella e tornare a casa.

L’imprenditore accetta e con mezzi di fortuna e grazie all’aiuto di alcuni imprenditori che conosceva per ragioni di lavoro, riesce a tornare a casa, a Terni.

L’incubo, però, non è ancora finito. Perché una sera, mentre si trova a cena con moglie e figlio, alla sua porta bussano i carabinieri, gli stringono ancora le manette ai polsi e lo trasferiscono a Sabbione. Nei suoi confronti, la Polonia ha avviato una rogatoria internazionale e sulla sua testa pende un mandato di cattura europeo perché nel frattempo è stato celebrato e si è concluso un processo nei suoi confronti – ma in sua assenza – al termine del quale è risultato colpevole e deve scontare altri tre anni di prigione.

Il tempo stringe, perché la polizia polacca è pronta – nel giro di poche ore – a caricarlo su un furgone blindato e riportarlo all’estero per fargli scontare la sua pena.

A questo punto, comincia la battaglia legale in Italia. L’imprenditore affida il caso all’avvocato Marco Marchioli, del foro di Terni. Si celebra un interrogatorio di garanzia e poi un’udienza fiume di fronte alla Corte d’appello di Perugia. Nodo centrale del dibattimento è la legge di recepimento del mandato d’arresto europeo. L’avvocato Marchioli solleva numerose eccezioni, fino a convincere il giudice a rimettere in libertà il suo assistito.

In particolare, la difesa si appunta sulle condizioni disumane a cui l’imprenditore è stato sottoposto durante il periodo di detenzione in Polonia e sul fatto che “nessun cittadino può essere trattenuto in altro Paese” in quelle condizioni, ossia in una cella di otto metri quadrati, compreso il bagno, che “ospita” quattro detenuti.

“È stata una grandissima vittoria”, commenta l’avvocato Marchioli, sottolineando che l’imprenditore è stato oggetto di “verifiche sommarie”, tanto più che quel titolo “negli Stati Uniti era assolutamente valido” e che il suo cliente era incensurato e quindi un provvedimento come quello dell’arresto, seguito a due anni di cella, era assolutamente sproporzionato per un reato che, tutt’al più, date anche l’età e le condizioni di salute dell’uomo, verrà punito con un paio di settimane di affidamento ai servizi sociali.

  

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