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Pillola abortiva, il “caso” Umbria arriva in Senato: “Ristabilire subito la più ampia libertà delle donne”

Pavanelli (M5S): Tesei ha dimostrato come a volte le donne possono essere le peggiori nemiche di se stesse. Ru486 in ospedale, anche altre Regioni seguono il cuore verde d’Italia

Il “caso” Umbria arriva in Senato seppure il cuore verde d’Italia non sembra sia l’unica Regione ad avere adottato il provvedimento che stabilisce che la pillola abortiva Ru486 debba essere somministrata non più a domicilio ma con un ricovero ospedaliero di almeno tre giorni.

L’eco polemica della decisione adottata dalla giunta regionale continua ad avere degli strascichi e a tenere l’Umbria al centro dei riflettori nonostante non sarebbe l’unica regione ad avere adottato – sulla base delle linee guida del Consiglio superiore di sanità – delle prescrizioni per l’aborto farmacologico. L’associazione Luca Coscioni ha infatti ricostruito che sono soltanto quattro le regioni italiane - Lombardia, Toscana, Emilia-Romagna e Lazio - che hanno scelto di offrire alle donne che decidono di abortire con i farmaci l’opzione di farlo in day hospital. Le altre, Umbria compresa, hanno adottato le linee di indirizzo del ministero della salute, basate sul parere espresso dal Consiglio superiore di sanità il 18 marzo 2010.

“La giunta regionale guidata dalla presidente Tesei ha reso alle donne più difficile applicare la legge 194. L’interruzione volontaria di gravidanza in Umbria non è già un intervento a cui si accede facilmente, il 65% dei medici sono obiettori di coscienza. Eliminando la possibilità per le donne di ricorrere all'aborto farmacologico in day hospital la Tesei ha dimostrato come a volte le donne possono essere le peggiori nemiche di se stesse e dei loro diritti faticosamente conquistati”, ha denunciato, intervenendo nell’aula di Palazzo Madama, la senatrice umbra del M5S, Emma Pavanelli.

Di fatto, ha spiegato, “la giunta regionale, ha privato le donne umbre di percorsi discreti e psicologicamente meno devastanti rispetto al dover obbligatoriamente ricorrere ad una ospedalizzazione di almeno tre giorni. Che cosa racconteranno queste donne durante la degenza forzata in ospedale, in un momento di estrema difficoltà psicologica, a datori di lavoro, familiari, conoscenti? Peraltro siamo di fronte a una vera e propria gaffe. Perché la giunta leghista in una delibera di maggio, in piena Fase 2, tra le linee guida sull’Igv promuove la pillola abortiva come servizio ‘tutelato e garantito’. Poi la marcia indietro. Mi sono interrogata più volte sull’intento di tutto questo: con la scusa di una maggiore tutela della salute delle donne, il percorso di interruzione volontaria della gravidanza è stato reso più difficile da percorrere, sperando così di scoraggiare il ricorso alla pillola Ru 486. Il Movimento 5 Stelle si batterà per rimediare a questa assurda decisione e farà di tutto per ristabilire la più ampia possibilità di scelta decisionale in tema di interruzione volontaria della gravidanza. Che, voglio ricordarlo, è un momento drammatico per tutte le donne che scelgono, per motivi personali e dolorosi, di ricorrervi”.

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