rotate-mobile
Politica

Le “Memorie di un vicesindaco breve”: “Amo Terni, ma c’è chi per calcoli personali e bassa politica la vuole subalterna a Perugia”

Andrea Giuli, giornalista poeta e scrittore, ha raccontato i suo tre anni da amministratore a Palazzo Spada in un libro. La nostra intervista

Giornalista, poeta, scrittore e vicesindaco. “Breve”, per sua stessa definizione. Chiamato a Palazzo Spada cinque anni fa da Leonardo Latini, fresco del successo elettorale, Andrea Giuli - ternano di nascita e sardo un po’ per adozione e forse per vocazione - è rimasto in carica per tre anni prima di finire nel tritatutto dei rimpasti che hanno caratterizzato la prima, ed unica, esperienza della giunta Latini. Affrontando quella che lui definisce una “esperienza di pubblico amministratore, tecnico e indipendente dai partiti, come se fosse un’avventura, critica e auto-critica, amara e disincantata, appassionata e impertinente”. Quei tre anni sono raccontati in un libro, “Memorie di un vicesindaco breve. Manuale di non sopravvivenza” (Intermedia edizioni) giunto alla sua terza ristampa.

Nel suo libro, scritto molto bene e con dettagli, circostanze e aneddoti, mi pare però di leggere come una “predestinazione”, come se la sua fosse stata l’esperienza di un “vicesindaco breve” perché non poteva essere altrimenti. È così oppure effettivamente sono intervenuti dei fattori che hanno segnato la sua vicenda da amministratore?

“Forse predestinazione è un po’ troppo, ma certo avevo la consapevolezza da subito, essendo un uomo di frontiera e di cerniera e con una storia differente dai due principali partiti di quella maggioranza, che avrei svolto un ruolo atipico ed incarnato una posizione eterodossa. Anche vero che da un certo punto in poi ho avvertito una crescente solitudine, per vari motivi: le legittime scelte del sindaco, il non avere uno zoccolo duro di consiglieri comunali, l’essere senza partito e l’innesco delle peggiori dinamiche di bulimia partitica”.

Raccontando la vigilia delle elezioni comunali di cinque anni fa, lei fa riferimento al fatto che il centrodestra, a poche settimane dall’appuntamento con le urne, non avesse ancora un candidato sindaco. Storia simile, anche se con premesse diverse, si è ripetuta in questo 2023. Impreparazione, confusione, poca capacità di organizzazione o cosa?

“Nel 2018, il centrodestra ternano trovò il suo candidato all’ultimo minuto, con un atto d’imperio del leader della Lega. Poche settimane fa si è verificata una cosa un po’ diversa che credo abbia a che fare con la sciagurata bulimia di cui sopra, la sostanziale incapacità di leggere la realtà e i fenomeni politici, una supponenza e un dilettantismo francamente imbarazzanti e anche inaspettati. Lo dico con dispiacere: il centrodestra ternano si è reso protagonista di una strategia balorda, troppi errori e una ostinata sottovalutazione di ciò che si stava muovendo in città”.

Mi sembra anche di leggere un certo parallelismo tra la sua vicenda e quella del sindaco Leonardo Latini, non ricandidato per il suo secondo mandato. I “mandanti” sono gli stessi?

“Nelle ultime pagine del libro ho fatto riferimento ad una certa ‘circolarità’ degli eventi. La non ricandidatura di Latini è stata una vicenda piuttosto complessa e frutto di vari meccanismi impazziti, la mia giubilazione assai più semplice e trascurabile. Mandanti mi sembra un termine un po’ forte, ma è oggettivo che un partito di maggioranza abbia svolto un ruolo centrale, benché non esclusivo, nei due siluramenti”.

Lei parla di politica, o meglio, dei suoi meccanismi con una forte disillusione. È un gioco davvero così sporco e senza speranza oppure sono soltanto alcuni suoi protagonisti a renderlo tale?

“Ho scritto il mio punto di vista, la mia esperienza, senza pretese di verità assolute o complete. Confermo la mia idea di una morte di fatto della politica, già da qualche anno. Mi spiego: se è vero che la politica è pragmatismo, mediazione, sangue e merda, lotta per il potere, è anche più vero che non possono mancare cultura, preparazione, sensibilità, visione, senso del limite, talento, umanità, empatia. La politica ha una sua nobiltà ed è necessaria in qualsiasi società. Ma se rimane solo quello definito da Formica sorge un problema. Vari protagonisti ho il sospetto che siano figli delle lacune che ho citato”.

Terni, descritta a tratti come una palude o come una realtà disabituata alla cultura, esce abbastanza malamente dalle pagine del suo libro. Viviamo in una città senza speranza oppure a qualcuno fa comodo che le cose restino così?

“Questo libercolo è anche un atto d’amore per Interamna, schietto e senza filtri. Ho sempre avuto un rapporto problematico con la mia città ma è la città che amo, avrebbe detto qualcuno. Ne traccio un piccolo ritratto poetico e politico, sincero, accorato e malinconico. E disegno anche un severo profilo antropologico di noi ternani, di certe fasi, di un determinato clima, senza risparmiare critiche e pessimismi. È la mia visione, ma la speranza è l’ultima a morire”.

E davvero lei ritiene che ci sia un mondo Perugia “centrico” che zavorra Terni per tenerla sotto scacco?

“In parte sì, credo sia storia oggettiva. Ma detto ciò, penso dobbiamo guardare soprattutto in casa nostra. L’atteggiamento prevalente di tanta classe dirigente negli anni e, in parte, anche di porzioni della città è sempre stato colpevolmente subalterno rispetto a Perugia. Talvolta inconsapevolmente, più spesso per calcoli personali o di bassa politica. Per non parlare di un conculcato complesso di inferiorità che ci ha sempre spinto a considerare la nostra città come brutta e indegna culturalmente”.

Parlando della sua attività come amministratore, lei ha fatto riferimento a diversi dossier come la cascata delle Marmore, san Valentino e così via. Risorse importanti che potrebbero portare frutti maggiori con la “creatività”. Anche Terni può sbarazzarsi di alcune pesanti coltri e “mangiare” e dare da mangiare ai suoi cittadini con cultura e turismo?

“Ne ero e ne resto convinto. La nostra città non sarà bella in senso tradizionale, ma di certo è un tipo. Una città d’arti con grandi potenzialità come hub di un magnifico territorio nel raggio di 30 chilometri. Ho sempre creduto nel connubio tra cultura, turismo, creatività. Ma ci devono credere soprattutto i cittadini e le classi dirigenti in una saldatura di intenti e di sentimenti. Lo so, sono un utopista. Ma io ci ho provato, e credo tuttora sia possibile”.

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Le “Memorie di un vicesindaco breve”: “Amo Terni, ma c’è chi per calcoli personali e bassa politica la vuole subalterna a Perugia”

TerniToday è in caricamento