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Rifiuti, “beffa” Taric: ecco perché la tariffa a Terni (ma non solo) non è così tanto “puntuale”

Tutta colpa della quota variabile base per la quale si paga un numero di conferimenti “minimi” ogni anno. La segnalazione: “Così è inutile l’impegno di chi vuole inquinare meno e risparmiare qualcosa”

Siamo partiti da qui: “Vorrei far notare delle anomalie di applicazione della Taric nel Comune di Terni, riferite soprattutto alla decisione di applicare un minimo di rifiuto indifferenziato corrispondente al 50 per cento del totale annuo da fare pagare in ogni caso, anche in presenza di conferimenti minimi (10 volte) merito di una attenta differenziata per ridurre al minimo inquinamento e costi”.

Dal primo gennaio 2021, non solo Terni ma anche i comuni di Narni, Amelia, Arrone, Calvi dell’Umbria, Montecastrilli, San Gemini, Stroncone, Acquasparta, Attigliano, Baschi, Giove, Guardea, Lugnano in Teverina, Montegabbione, Monteleone di Orvieto, Alviano, Penna in Teverina, hanno deliberato il passaggio alla Taric (Tariffa rifiuti corrispettiva).

Obiettivo della Taric – così come si può leggere ad esempio sul sito di Asm che assieme a Cosp Tecnoservice compone la Rti che gestisce il servizio nei territori comunali del Ternano – “è incentivare la riduzione del rifiuto indifferenziato ed incrementare al massimo la percentuale di raccolta differenziata nel rispetto del principio di equità e trasparenza dei costi dell’igiene urbana”.

Questo dovrebbe avere anche una ricaduta diretta sulle tasche degli utenti. Infatti, “il calcolo della fattura non utilizzerà più il metodo presuntivo legato al numero dei componenti il nucleo familiare e - per le utenze non domestiche - la potenziale capacità di produzione dei rifiuti, ma la rilevazione effettiva della quantità in volume dei rifiuti prodotti. L’utente pagherà in proporzione a quanto rifiuto indifferenziato produce: meno rifiuto indifferenziato produce, meno spende”.

È però così solo in parte. Il regolamento per la tariffa rifiuti corrispettiva spiega infatti in che modo si compone la Taric. Regolamento che, per inciso, è uguale per tutti i municipi interessati: 48 pagine, 33 articoli (Terni ne ha 34) e un paio di allegati tecnici.

Ed è appunto all’articolo 12 che viene specificato il metodo di composizione della tariffa: “Per le utenze domestiche la tariffa si compone di una quota fissa (QF), di una quota variabile di base (QVb) e di una quota variabile aggiuntiva (QVa)”. In particolare, “la quota variabile è rapportata alla quantità di rifiuto indifferenziato conferito da ciascuna utenza e si distingue in quota variabile di base (QVb) a copertura del costo base del servizio, corrispondente ai conferimenti minimi annui per categoria di utenza domestica” e “quota variabile aggiuntiva (QVa) corrispondente agli eventuali conferimenti eccedenti i minimi definiti ai sensi del punto precedente”.

Ora, senza entrare nel dettaglio di calcoli, equazioni ed altro, il punto centrale sta proprio nel come viene quantificata la quota variabile di base che poi corrisponde all’importo “relativo al costo base del servizio, definito dai litri minimi annui di rifiuto misurato previsti per categoria di utenza domestica sulla base dei quantitativi di rifiuti misurati raccolti a livello comunale e rendicontati dal gestore”.

Si tratta di una sorta di “franchigia” che per Terni corrisponde a 26 conferimenti di rifiuto indifferenziato (due volte al mese) che vengono fatturati anche nel caso in cui l’utente conferisca in realtà un numero minore di volte.

“Così – commenta il nostro lettore sfogliando la bolletta dei rifiuti – è inutile l’impegno di chi vuole inquinare di meno e magari risparmiare qualcosa”. E insomma, appare un po’ “ingannevole” la pubblicità per cui “meno rifiuto indifferenziato si produce e meno si spende”.

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