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Lunedì, 29 Aprile 2024
Cronaca

Investono in buoni fruttiferi ma Poste non paga: condannata l’azienda

Rimborso negato ad una coppia per “intervenuta prescrizione del diritto”, avvocato ternano vince la causa: il giudice ha riconosciuto il danno patrimoniale

Nel 2001 avevano investito qualche migliaio di euro in buoni fruttiferi postali. Vent’anni dopo hanno chiesto il rimborso di quei soldi ma Poste italiane ha risposto “picche”: era passato troppo tempo dalla sottoscrizione del contratto e intanto era intervenuta la “prescrizione del diritto”. Rischiavano così di restare con un pugno di mosche in mano. Hanno così deciso di rivolgersi ad un avvocato. Che ha fatto causa all’azienda e ha vinto.

La storia arriva da Torino e porta la firma di un avvocato ternano, Andrea Persichetti, protagonista di una vicenda che potrebbe avere risvolti positivi per migliaia di persone che, in tutta Italia, si trovano nella stessa situazione. Questa.

I clienti del legale avevano investito 5mila euro in due distinti buoni fruttiferi postali della serie AA2. I titoli riportavano semplicemente la dicitura “a termine”. Sarebbero scaduti, ma nessuno sapeva quando. Perché – ed è proprio questo l’elemento centrale nei fatti di causa – al momento della sottoscrizione alla coppia non era stato consegnato il foglio informativo all’interno del quale erano indicate le condizioni contrattuali. Ovvero che i buoni sarebbero scaduti sette anni dopo (nel 2008) e che nel 2018 sarebbe intervenuta la prescrizione e che dunque, entro quella data, si sarebbe dovuto chiedere il rimborso.

Dopo la richiesta di risarcimento del danno patrimoniale, e il diniego di Poste, l’avvocato Persichetti si è rivolto al giudice di pace che ha accertato che la mancata riscossione dei buoni doveva essere addebitata alla responsabilità di Poste italiane, per non aver consegnato al momento della sottoscrizione (né provato in giudizio) il foglio informativo con le condizioni contrattuali praticate, la cui conoscenza non poteva avvenire se non attraverso la consultazione dei documenti.

È stata insomma riconosciuta una condotta “scorretta” da parte dell’azienda e quindi il risarcimento patrimoniale, quantificato in 5mila euro, ossia la somma investita all’epoca dalla coppia.

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