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Comune di Terni in dissesto, adesso bisogna indagare sul buco nero dei conti che ha inghiottito la città

I dettagli della sentenza con cui gli ex amministratori di Palazzo Spada sono stati multati per decine di migliaia di euro e un’occasione da non sprecare: serve una commissione d’inchiesta

Le sentenze, i decreti o – comunque sia – i provvedimenti emessi da un giudice si applicano. Tutt’al più, si appellano. E infatti, gli ex amministratori del Comune di Terni multati per svariate migliaia di euro dalla Corte dei conti dell’Umbria annunciano battaglia legale contro il decreto emesso nella giornata di ieri dal presidente, Piero Floreani.

Le sentenze, però, vanno anche lette. Non solo sventagliate ad uso e consumo della bagarre del momento, come è costume di questo Paese in perenne campagna elettorale. Vanno lette, non perché oro colato o Vangelo. Ma perché, fra le loro righe, possono essere trovati elementi interessanti per una accurata riflessione attorno a quello che l’oggetto di quel provvedimento.

E allora, leggendo il decreto con cui la magistratura contabile ha “condannato” – o meglio, multato – gli ex amministratori del Comune di Terni ritenuti responsabili di non avere predisposto tempestivamente gli atti necessari a scongiurare il dissesto finanziario dentro al quale Palazzo Spada è poi sprofondato, qualche spunto interessante si trova, eccome.

Anzitutto, il giudice rileva che le “gravi e persistenti criticità nella gestione finanziaria dell’ente” erano “già note agli amministratori a far tempo dalla fine dell’anno 2014”. Quindi, in una riga ci sono già due aspetti da approfondire: il dissesto del Comune di Terni ha radici profonde e - probabilmente - gli amministratori hanno messo in atto una serie di azioni volte a stendere un tappeto sopra il buco nero dei conti. Tappeto che però non ha retto. E la toppa, come si dice, è stata peggio del buco.

Come riporta il provvedimento del giudice, la procura contabile ha evidenziato che “il ripetuto disavanzo dell’equilibrio di parte corrente è stato di volta in volta affrontato con il mantenimento di residui attivi che si sarebbero dovuti eliminare; i tempi lunghi di pagamento dei vari creditori hanno permesso sicuramente di rimandare più avanti possibile le problematiche, ma allo stesso tempo di ingigantirle. Il formarsi di debiti fuori bilancio di una certa entità ha contribuito far precipitare la situazione…”.

Quindi, da una parte c’è stato un continuo ricorso ad “artifici” contabili per camuffare i conti. Dall’altro, si è continuato a spendere, anche a discapito di creditori che hanno invano bussato alle porte di Palazzo Spada per farsi riconoscere quanto dovuto. Chiedere, per conferma, alle imprese del territorio.

Ma non è tutto. “Oltre a quanto evidenziato – rilevava la procura della Corte dei conti - vi è sicuramente da segnalare anche il non adeguato controllo interno e monitoraggio delle spese correnti, nonché croniche difficoltà nelle riscossioni. Ciò ha creato una situazione tale che ha portato all’utilizzo persistente di anticipazione di cassa, al mancato rispetto negli ultimi anni di ben quattro dei parametri deficitari, al sempre elevato indebitamento ed a lunghi tempi di pagamento”. Difficoltà nelle riscossioni che, sembra, continuino anche oggi. Nonostante la durissima lezione del disavanzo.

Per finire: “Si segnala inoltre la mancanza di un puntuale controllo sulle società partecipate, che ha portato nel tempo a differenze contabili con susseguente contezioso e formarsi di debiti fuori bilancio”. Alla voce “partecipate” basta sfogliare i bilanci di Asm per capire come stanno le cose.

Ora e al netto degli esiti giudiziari che questa vicenda avrà, la riflessione dovrebbe essere più approfondita e “onesta”. Soprattutto, sarebbe opportuno interrogarsi su quelli che sembrano essere i cardini attorno ai quali questo provvedimento ruota. Il primo: il “buco” nei conti del Comune di Terni non si apre improvvisamente nel 2014, ma si trascina da tempo, pur se addolcito da una serie di alchimie che sono state messe in atto in fase di redazione dei bilanci. Ma che alla lunga, si sono sciolte come neve al sole.

Secondo: la difficoltà nella riscossione. Che sembra essere un male endemico dentro Palazzo Spada se è vero che ancora si corre dietro a tasse e tariffe non pagate, sanzioni amministrative non regolate eccetera. Quindi, poco o nulla è cambiato. Terzo: la gestione delle partecipate. I conti in rosso rischiano di rendere obbligate alcune scelte politiche in assenza delle quali, le difficoltà economiche delle aziende potrebbero riverberarsi sui conti dell’amministrazione. E riproporre una storia già vista.

Allora, l’occasione sarebbe “ghiotta”: perché non indagare? Perché non inseguire i fili che hanno mosso questo terremoto? Così da risalire alle origini del dissesto, andando a vedere quali partite sono state trascinate, come e perché? Perché non investigare sulle “difficoltà di riscossione” e intervenire laddove la macchina si inceppa così da permettere un’azione efficace ed efficiente che- tra l’altro – potrebbe anche innescare il virtuoso meccanismo per il quale si paga tutti ma un po’ meno?

Serve una commissione d’inchiesta. Che esca dalle trincee dalla partigianeria e operi nella più assoluta trasparenza. Serve una indagine tecnica su conti, documenti, atti. Alla politica – tutta, trasversale – spetterebbe soltanto il compito di dare il la al meccanismo, per poi farsi da parte ed attendere gli esiti di una analisi rigorosa quanto libera da correnti e correntismi. Tutto questo non per addossare responsabilità o costruirsi pretesti da tribune elettorali. Ma perché soltanto conoscendo il passato si può provare a immaginare una ipotesi di futuro.   

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